lunedì 11 luglio 2011

Come in ogni favola che si rispetti

mi piacerebbe cominciare con un c’era una volta...

di Fabio Evangelisti


C'era una volta un attempato signore, che aveva in testa un progetto folle, tanto folle che oggi, a distanza di trent’anni, nessuno si accorge di avercelo sotto il naso. Perché, come diceva Nietzche, è folle soltanto colui che la pensa diversamente dalla massa. Il Programma di Rinascita Democratica di Licio Gelli è compiuto, è storia e sostanza della nostra democrazia, tanto che recentemente il "Venerabile", in un’intervista all'Espresso del 2010, ha dichiarato: "Mi hanno copiato, e pure male. Gli uomini al Governo si sono abbeverati al mio piano di rinascita. Ci sono gli stessi uomini di vent’anni fa e non valgono nulla. Sanno solo insultarsi e non capiscono di economia. Il Parlamento è pieno di massaggiatrici, di attacchini di manifesti e di indagati".

Ma se anche Gelli critica i soggetti che sono stati messi nelle stanze dei bottoni, ciò che è incontrovertibile è che il piano di Rinascita Democratica è stato declinato alla perfezione: un autoritarismo legale che ha al suo centro l’informazione. Il programma di Gelli è stato realizzato punto per punto, e i pregiudicati di Tangentopoli sono stati installati in tutte le stanze di tutti i bottoni, l’abuso d’ufficio è stato di fatto depenalizzato (il falso in bilancio anche), mentre andava potenziato con l’aggiunta del traffico di influenze (per non parlare dell’”intralcio alla giustizia” con pene americane).

Ma di tutte le tessere che compongono la galassia P2, quella che è senz’altro sotto gli occhi di tutti è la forte manipolazione e strumentalizzazione dei mezzi d’informazione, asserviti al potere e in particolar modo a quello del Premier. E qui gli esempi si sprecano davvero: le macchine del fango dei giornali di regime, gli editti bulgari corredati dal monopolio totale sulle reti, private e di Stato (esemplare il caso Rete4), il bavaglio che ora tentano di mettere all’unico mezzo d’informazione libero che possediamo, la Rete. C’era solo un posto dove il Presidente del Consiglio non era ancora arrivato, Facebook, anche il suo valente staff in questi anni sulla rete si è mosso e non poco, come dimostra la nuova P4, ben radicata nella stampa e nelle agenzie come Il Velino. Difficile, insomma, quasi superflua la distinzione tra P2, P3, P4, se non per attori comprimari (il protagonista è sempre lo stesso) e per la sfacciataggine crescente con cui questi manigoldi imbrattatori della democrazia agivano nelle tasche e sulla pelle dello Stato. Quindi dei cittadini.
La questione P3 emerge con tutta la sua forza nel 2010. Ricordo bene quei giorni perché, in Versilia, si festeggiava l’anniversario del Fatto Quotidiano e con una metafora molto forte e significativa Di Pietro paragonava Berlusconi alla testa della piovra, e tutti i membri della P3 ai suoi tentacoli: Verdini, Bertolaso, il mezzanino di Scajola, il "compagno" Anemone, gli scandali dell’Aquila, del G8 alla Maddalena, dell’abusivismo edilizio che incancreniva i rapporti tra politica e impresa da Milano a Palermo. Erano anche i giorni delle escort a Palazzo Grazioli, di Patrizia D’Addario, precursore di letto e di rotocalco dell’ormai insostituibile Ruby Rubacuori e della banda dell’Olgettina.

Un tentativo analitico di resoconto storiografico è impossibile. La commistione tra affari, politica (con la p minuscola), sesso e potere, favori e mazzette, appalti e mignotte, è un groviglio inestricabile che parte dalla P2 (quasi madre nobile delle bassezze di oggi, se questo è possibile) e si declina, in una partita al ribasso, nella melma che oggi è sotto gli occhi di tutti. Tutti. Indifferenti molti, rassegnati i più, silenziosi conniventi in troppi.
Concludiamo con le notizie dei giorni scorsi: la scoperta di questa nuova declinazione di "P", che potrebbe tra l’altro continuare all’infinito, se la testa della piovra, e molti dei suoi tentacoli, non saranno estirpati da quello che fu il cuore pulsante della nostra democrazia. Partiamo da Licio Gelli e arriviamo a tal Bisignani, già noto alle cronache e alle carceri nostrane ai tempi di Tangentopoli, ma personaggio nient’affatto conosciuto dalle persone perbene che fino a ieri si sono occupate di politica e di gestione della cosa pubblica. Questo ominicchio, in una segreta stanza di Piazza Mignanelli, faceva fare anticamera a Ministre, Ministri, nomi illustri dell'economia, del mondo bancario e di tutta la società "che conta". Tutti in fila con il cappello in mano per un consiglio, una questua, una raccomandazione, anche solo uno sfogo dopo "una figura di merda" in televisione o un mancato occhiolino da parte di Berlusconi in un convegno.
Veniamo dunque alla fine della nostra favola, anzi della nostra storia dell’orrore. Perché una favola cominciata con c’era una volta, in questo preciso momento non potrebbe chiudersi, come da consuetudine, con un "e vissero felici e contenti". Quello che manca è un Cavaliere (ma non quello di Arcore!) senza macchia e senza paura che dovrebbe chiamarsi centrosinistra e che con il suo battaglione (Pd, Idv e Sel) decida finalmente di scrivere il lieto fine a questa triste storia italiana.

Invece di strizzare l’occhio alle regine cattive furbescamente allontanate dalla corte del Tiranno...